L’ILLUSIONE DELLA RIFORMA PENSIONISTICA: UN PALLIATIVO PER UN SISTEMA IN COMA. LA SOLUZIONE? SEPARARE L’ASSISTENZA DALLA PREVIDENZA

Da anni si parla di riforma del sistema pensionistico come se fosse la panacea per ogni problema economico del paese, la soluzione a tutti i mali della nostra società. Eppure, quello che ci viene proposto non è altro che un tentativo di mettere una toppa su un sistema che, ormai, non è più in grado di garantire una vecchiaia serena ai nostri giovani….e neppure ai meno giovani. Quello che sta accadendo con le varie “quote” pensionistiche, come la tanto decantata Quota 103 o la Quota 96, o l’ennesimo innalzamento dell’età pensionabile di tre mesi, è solo un triste palliativo, un rimedio che serve a rinviare un problema che nessuno ha il coraggio di affrontare davvero.

Il cuore della questione è semplice: il sistema previdenziale italiano è ormai collassato. È stato piegato da troppe competenze e richieste che non hanno nulla a che fare con la previdenza. L’Inps, che doveva limitarsi a raccogliere i contributi previdenziali e a erogare le pensioni, è diventato un colabrodo che deve occuparsi anche di assistenza, malattie, cassa integrazione e, fino a poco tempo fa, reddito di cittadinanza. Una distorsione che ha messo a rischio la stessa possibilità di garantire un futuro pensionistico decente.

Gli esperti che studiano il sistema previdenziale sono tutti concordi su un punto: bisogna separare previdenza e assistenza. Se non si fa questo, tra qualche anno, i soldi per pagare le pensioni non ci saranno più. Un dato inquietante che sembra non preoccupare più di tanto i politici, abituati a fare propaganda sui numeri senza mai affrontare il nodo reale. La riforma delle pensioni, invece di risolvere il problema, si sta trasformando in una mera operazione cosmetica. È evidente che stiamo cercando di tappare i buchi con il cerotto, sperando che il tempo ci aiuti a dimenticare il disastro. Ma il tempo, purtroppo, non è dalla nostra parte.

Il sistema previdenziale dovrebbe funzionare come un’assicurazione: i contributi versati dai lavoratori dovrebbero essere utilizzati esclusivamente per erogare le pensioni. Non si capisce come mai questo principio basilare venga costantemente ignorato. Un’assicurazione privata, per esempio, non avrebbe mai il coraggio di gestire i soldi dei suoi assicurati utilizzandoli per scopi diversi dalla previdenza. Eppure, l’Inps ha fatto proprio questo, utilizzando i contributi versati per finalità che non hanno nulla a che vedere con le pensioni, come il sostegno a categorie non previdenziali. È una pura follia che ha mandato in crisi l’intero sistema.

Non possiamo più permetterci di ignorare questo disastro. La realtà è che i politici continuano a chiacchierare di riforme e di “quota 103”, ma senza mai affrontare il vero problema: un sistema che non funziona più perché è stato trasformato in un colossale banco di prova per esperimenti che nulla hanno a che vedere con la pensione dei lavoratori. E, quel che è peggio, si rischia di ingannare i giovani, facendogli credere che le pensioni vengano pagate dai loro contributi. Falso. I “vecchi” non stanno vivendo di carità, ma hanno lavorato per 40 anni, versando una quantità enorme di soldi che, nel corso del tempo, sono stati distratti per altre finalità. Il problema è che oggi quel sistema è ormai allo stremo e i giovani stanno pagando il prezzo di una gestione irresponsabile.

Tutti i riflettori sono puntati sull’Inps e sulle sue difficoltà, ma nessuno ha il coraggio di prendere in mano la situazione e separare nettamente la previdenza dall’assistenza. Bisogna affrontare il problema strutturale, e non nasconderlo dietro una riforma che non fa altro che spostare più in là una crisi che è già alle porte. È ora di riflettere, soprattutto per il governo, che sembra prendersela comoda nella gestione di un tema così delicato. Non possiamo più permetterci di fare scelte che non affrontano la realtà, semplicemente perché è più comodo rinviare il problema.

La pensione non è una elemosina, ma un diritto che ogni cittadino guadagna con il proprio lavoro. Forse, invece di continuare a parlare di “quote” e “aumenti di età”, sarebbe più utile concentrarsi su una riforma vera, che restituisca dignità al sistema previdenziale e che garantisca a tutti, giovani e meno giovani, una pensione giusta, frutto dei propri sacrifici e non di una politica di accorpamenti e sprechi.

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